
Mai quindi esagerare ❤️
«Hito 人 in giapponese è la ‘persona’.
Un’interpretazione vuole che il carattere di hito 人 nasca dal fatto che gli individui abbiano bisogno di sostenersi a vicenda per restare in piedi. Un reciproco sostenersi che è alla base d’ogni relazione»
#walaviagiapponeseallarmonia
La promessa era quella, non vedevo l’ora, ma qualcosa di tecnico pare necessiti di qualche giorno in più.
Sono delusa, soprattutto per aver fatto una promessa che non ho potuto mantenere. Non vedevo l’ora… scusate! m(_ _)m
Io allora aspetto per ognuno dei tre punti, per il carattere di 「待」, aspettare, che di per sè è una lezione e vi spiego più giù. E per gli unici indizi che posso dare e che hanno a che fare con una certa onomatopea , quella del cuore.
❤️
Lo scrivevo in «Wa, la via giapponese all’armonia» che: «matsu 待つ è il verbo dell’attesa, dell’aspettare.
Diviene nell’abbinamento aspettativa (kitai 期待) oppure invito (shōtai 招待), due cose che implicano il tempo. Pare che l’origine di questo kanji sia nel «posare cose, offerte al tempio» e che quel gesto pieno di cura verso gli dèi nell’antichità fosse la scintilla dell’attesa. Che sia aspettativa di bellezza o di disastri, matsu 待 è un carattere destinato a inseguire a fasi alterne la vita di ciascuno.
Per certi versi la vita stessa si riduce a un’attesa, a spazi immensi tra pochi eventi di rilievo e la qualità della nostra esistenza dipende proprio dal modo in cui abitiamo quei tempi intermedi.»
E quindi… aspetto.
Scusate ancora.
(ب_ب)

Quanto è prezioso il negativo!
Per quel solito grappolo di coincidenze che in realtà sono richiami – tutto nella vita, a guardare bene, è così connesso che non ci vuole molto per scorgere appigli, corrispondenze, destini – mi sono trovata in questi giorni a parlare più volte e con persone assai diverse di quanto sia importante non solo aver provato ma anche aver causato il male. Ricordarlo soprattutto. Perché non esiste nulla di più intenso dell’esperienza personale.
Non c’è figlio che non abbia fatto male a un genitore, padre o madre che non lo abbia causato al figlio, compagni di classe, amici, sconosciuti. Nulla si salva dalle nostre parole, dalla derisione, dal commento truce, dal pensiero crudele, dal desiderio di morte. E prima accade, prima si impara quanto è facile cadere in errore e si apprende soprattutto che la ragione è questione di ore: basta attraversare una strada, cambiare un portone, avere un genitore un po’ più violento o gentile, e la visione delle cose cambia totalmente. Con un piccolo sforzo di immaginazione riusciamo a capire tutto, anche la cosa più feroce.
L’empatia, a mio parere, ha bisogno anche di tutto questo dolore, del male che causiamo nell’infanzia e nell’adolescenza, del brutto che continuiamo a procurare anche nella vita adulta (quello che diventa spesso non intenzionale, non almeno veramente, quello che ci sfugge, perché in realtà abbiamo già imparato che male porta male, sempre).
Sono convinta di essere diventata la persona che sono anche perché sono stata la bambina che nell’estate dei sette anni ha affogato un nido di formiche, quella che ha rubato una bambolina di pezza a una compagna e l’ha lasciata cadere a terra perché il peso, nella strada verso casa, era diventato insostenibile, quella che ha spiegato a un fidanzato perché non lo avrebbe mai amato veramente.
Essere cattivi ci insegna il meccanismo dall’interno. Ci aiuta a immaginare il perché il male accada, come ci sia dietro sempre un altro dolore (consapevole o inconscio) e quanto poco serva talvolta a disinnescarlo.
Basterebbe la memoria, non essere convinti di avere ragione. www.lauraimaimessina.com