
«In ogni cosa –scriveva Kenkō Hōshi –amo il passato». La letteratura, il senso del bello in Giappone valuta grandemente il tempo che scorre nelle cose, privilegia tutto quanto evoca più di ciò che dice.
È wabi-sabi 侘び寂び.
Wabi 侘び privilegia le cose meno esatte e rifinite che muovono tuttavia a un esercizio spirituale. È una bellezza votata alla semplicità e a un certo senso di desolazione.
Sabi 寂び rivaluta anch’esso l’imperfetto, fa di qualcosa che si vorrebbe d’istinto celare, un valore. Le rughe che scavano fiumi su un volto, il colore dei capelli che si avvia inesorabile al bianco, la pelle che si raggrinza, l’ammucchiarsi di macchie su braccia e mani: tutto anticipa quanto sarà, ogni cosa fa intravedere la sostanziale fragilità che la incrina.
Il pensiero giapponese lo ripete in ogni disciplina, che la perfezione è un processo e non un risultato, e che tanto più intensa è proprio la bellezza delle cose che in un solo istante potrebbero andare in fumo. Nulla è per sempre e accettare la natura transitoria di quanto amiamo, ci deve rendere più cara la loro frequentazione e può aumentare la nostra sensibilità che, rimanendo concentrata sull’hic et nunc, non tenderà a dare la vita per scontata.
📚 da «Wa, la via giapponese all’armonia» @vallardi_editore @tea.libri per spiegare il concetto di cui vi accennavo ieri.


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