
Era esattamente questo ciò che vedevo mentre scrivevo questo passaggio. E anche stamattina era qui, rinnovando la festa di Tanabata di anno in anno.
Ogni volta – per quanto tempo possa essere passato dalla prima – mi incanto~❤
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«Quel pomeriggio di luglio camminarono a lungo per Kamakura.
Usciti dal ristorante Aoi accompagnò col braccio Mio nella folla. In mancanza di un marciapiede, la gente restava premuta contro le pareti del viale. A fatica si diressero verso l’immenso torii scarlatto che sovrastava l’ingresso del santuario Tsurugaoka Hachimangū. La gente era allegra per le celebrazioni di Tanabata: immensi festoni tubolari scendevano con le loro code flessuose dal tetto dei vari edifici.
Fin da quando era andato a prenderla quella mattina alla stazione, Aoi era rimasto incantato dall’avidità degli occhi di Mio. Non si fermava solo sulla bellezza del paesaggio o sulla solennità dell’architettura, ma anche davanti a cose spiacevoli, tagli urbani che chiunque altro avrebbe ritenuto di poco significato o addirittura sconvenienti. Case disabitate, volantini accumulati come un mare di carta all’ingresso, cestini gonfi di immondizia, macchie sui vetri: Mio guardava con meraviglia la ruggine salire sulle lamiere di una baracca, l’incuria trasformare le cose in giardini improvvisati.
Durante la passeggiata fissò a lungo una senzatetto: indossava un elegantissimo completo, che un tempo doveva essere stato rosa pastello, e spingeva un carrello pieno di cartoni, i colori dissipati dal sole e dal vento. Aoi le raccontò che girava per Kamakura ormai da dieci anni.
I passi erano calibrati. I loro corpi iniziavano a parlare uno stesso linguaggio.»
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da «Le vite nascoste dei colori» Einaudi editore



